Ligabue e il cinema

Dal volume di Vanni Codeluppi Luciano Ligabue. Musica, cinema, letteratura, uscito presso l’editore FrancoAngeli: «Ligabue, in tutt’e tre i film che ha firmato come regista, ha voluto ha voluto affrontare in maniera diretta un tema potente e decisamente inquietante come quello della morte. Ciò sorprende non poco, dato che nelle numerose canzoni che ha scritto e interpretato, al contrario, la morte è raramente presente e il suo atteggiamento è stato di solito positivo ed ottimistico. Al cinema, invece, tale atteggiamento sembra modificarsi improvvisamente e diventare cupo e drammatico. È possibile che questo risultato sia stato influenzato dalla differente natura posseduta dal linguaggio cinematografico rispetto a quello delle canzoni. Vari studiosi, a cominciare dal sociologo Edgar Morin e dallo psicoanalista Cesare Musatti, hanno messo in evidenza infatti già diversi decenni la forte affinità esistente tra, da un lato, il mondo onirico dell’inconscio e, dall’altro, l’esperienza consentita dalla pellicola cinematografica, fruita in una sala buia e dotata di caratteristiche che assomigliano fortemente a quelle del sonno. Il cinema, cioè, potrebbe essere in grado di attivare in alcune persone delle dimensioni inconsce che in condizioni normali vengono tenute sotto controllo. Persone che probabilmente non hanno trovato un punto di equilibrio rispetto a quel problematico rapporto con la morte che riguarda tutti gli esseri umani e che pertanto al loro interno non vivono in maniera serena e tranquilla tale rapporto».

I media siamo noi

Dall’introduzione al volume di Vanni Codeluppi I media siamo noi (nuova edizione) da poco uscito presso l’editore Franco Angeli: “Se i media rivestono un ruolo centrale all’interno delle attuali società ipermoderne, è grazie al fatto che sono simili a noi. Addirittura, i media “siamo noi”. Prima di tutto perché tali strumenti di comunicazione sono sempre più ubiqui, in conseguenza della loro notevole capacità d’invadere tutti gli spazi della vita quotidiana. Le persone, infatti, vengono immerse per buona parte della loro giornata in un ambiente fortemente “mediatizzato” e passano più della metà del loro tempo di vita connesse a un apparecchio digitale di qualche tipo. Ne deriva che mettersi in relazione con i media è diventata una delle attività più importanti e che si attribuiscono al mondo sociale dei significati che sono largamente influenzati dalle attività svolte mediante gli strumenti elettronici di comunicazione. La realtà viene cioè conosciuta soprattutto attraverso le rappresentazioni che ne danno i media, i quali dunque collaborano attivamente ai processi di costruzione e rielaborazione delle culture sociali che si svolgono quotidianamente”.

McLuhan e la fotografia

Marshall McLuhan, nel volume Gli strumenti del comunicare, ha definito la natura della fotografia attraverso la metafora del “bordello senza muri”, “rubata” al commediografo Jean Genet. Intendeva esprimere l’idea che ogni persona che ne fotografa un’altra possiede su di essa un notevole potere. La trasforma cioè in qualcosa di simile alla merce prodotta in serie dalle industrie. E in qualcosa di simile ai divi del cinema, che si consegnano al dominio pubblico e perciò «diventano sogni che col denaro si possono acquistare». Anche le persone comuni pertanto, da quando esiste la fotografia, sono indotte a consegnarsi al dominio pubblico. Ciò vale a maggior ragione per il mondo digitale contemporaneo, dove il ruolo svolto dal linguaggio fotografico è rilevante. Dunque, è possibile sostenere che è soprattutto in una realtà sociale come quella odierna, dominata dalla comunicazione digitale, che le persone sono costrette a vivere in un “bordello senza muri”. Un bordello dove pertanto è necessario sapersi vendere al meglio. Va considerato d’altronde come le piattaforme che costituiscono il mondo digitale contemporaneo richiedano costantemente agli individui di costruirsi dei profili personali e quello che in esse soprattutto conta è l’identità degli individui. I quali, per essere riconosciuti, devono agire in maniera efficace. Devono cioè esibirsi presentandosi nella maniera migliore possibile.

Il potere dell’algoritmo

Gli algoritmi influenzano le decisioni prese dalle istituzioni, dalle organizzazioni e dai singoli. Vale a dire che accade sempre più frequentemente che gli algoritmi contribuiscano a costruire la realtà in cui viviamo. Va considerato però che le procedure algoritmiche sono rigide e dunque, a differenza del cervello umano, non sono in grado di adattarsi alle situazioni impreviste. Non a caso si ritiene che abbiano pesantemente contribuito a determinare alcune delle maggiori crisi finanziarie internazionali verificatesi negli scorsi anni. Inoltre, come ha affermato il sociologo Dominique Cardon nel volume Che cosa sognano gli algoritmi, riproducono, a causa della loro rigidità, anche le differenze sociali e le discriminazioni esistenti nella società. Avviene però anche qualcosa in più, poiché, dato che lavorano solitamente sulle informazioni di cui dispongono relativamente ai comportamenti passati delle persone, gli algoritmi non si accontentano di riprodurre l’esistente, ma tendono a spingere la società verso una conferma dell’ordine già vigente. Aggiungono cioè i propri “verdetti” alle disuguaglianze sociali presenti e riducono pesantemente le opportunità di cambiamento e miglioramento che le persone possono avere nella propria vita.

Siamo “instagrammati”

Ogni giorno più di un miliardo di utenti carica su Instagram un’enorme quantità di fotografie, oltre cento milioni. La complessità della vita privata delle persone viene ridotta alle immagini utilizzate quotidianamente per comunicarla. Inoltre, viene facilmente accettato il fatto che Instagram metta a disposizione molti strumenti che consentono di manipolare facilmente le immagini (filtri, correzioni di esposizione, luminosità, nitidezza, ecc.). Tutto ciò produce un processo di continua riconfigurazione dei linguaggi attraverso i quali il quotidiano viene rappresentato dagli individui. Anche perché l’algoritmo che regola il funzionamento di Instagram ordina i materiali visivi caricati dagli utenti in base a vari criteri, tra i quali predominano i livelli di coinvolgimento e popolarità. Ciò stimola lo sviluppo di un’accesa competizione tra gli utenti. Ne deriva che le immagini di Instagram, anziché limitarsi a cercare di riprodurre la realtà che comunicano, la modificano e tentano di migliorarla. Pertanto, si può pensare che la cultura digitale contemporanea si presenti spesso come “instagrammata”, che cioè si adatti agli standard visivi ed estetici funzionanti meglio nei flussi comunicativi del social medium statunitense.

La scomparsa degli spettatori

A causa della pandemia di Covid-19, le partite di calcio e molti programmi televisivi si sono svolti per alcuni mesi senza gli spettatori negli stadi e negli studi. Sono stati degli eventi visti in loco solamente dagli occhi delle telecamere. Ciò evidenzia che in fondo il sistema del calcio e soprattutto il mondo dei media possono fare a meno di un pubblico. Il tradizionale modello spettacolare, che prevedeva la presenza di una platea di spettatori collocata in una posizione di distanza rispetto allo spazio scenico, è sostituito da un modello che comporta l’abolizione di ogni distanza tra gli spettatori e ciò che accade sulla scena. Quello che sta accadendo, infatti, è che tende a scomparire lo spettatore che guardava lo spettacolo dentro spazi appositamente dedicati. Non scompare però del tutto, perché viene sempre più incorporato dai media e dai loro schermi. Perché l’arrivo del Web e delle tecnologie digitali della comunicazione ha determinato un trasferimento dell’esistenza delle persone all’interno della realtà presente negli schermi. Gli esseri umani cioè rinunciano a vivere direttamente le proprie esperienze di vita per sperimentarle attraverso i media.

Capire le società contemporanee

Per analizzare le società avanzate di oggi, Leonardo Caffo ha proposto, nel volume Velocità di fuga (Einaudi, 2022), un lessico della contemporaneità. Cioè qualcosa di simile alle celebri e acute Lezioni americane di Italo Calvino. Le voci di Caffo sono sei, esattamente come quelle di Calvino. Non le stesse, ovviamente, dato che il libro di Calvino è stato pubblicato nel 1988 e da allora il mondo è profondamente cambiato. Quelle di Caffo sono: Attesa, Semplicità, Ecologia, Isolamento, Anticipazione, Offlife. L’analisi di Caffo, però, è fortemente condizionata dalla tesi di fondo e cioè che le società avanzate stanno superando la tradizionale prospettiva antropocentrica della cultura moderna e stanno progressivamente muovendosi verso il postumano. Non c’è nulla di più sbagliato e la grave crisi odierna lo mostra con grande evidenza. È proprio in una fase di questo tipo, infatti, che gli esseri umani mostrano il loro lato peggiore, fatto di violenza e ferocia, ma anche quello migliore, fatto di generosità e altruismo. Si pensi soltanto a cosa emerge dall’attuale guerra in Ucraina. Insomma, non stiamo entrando nel postumano o nel postmoderno, ma siamo più che mai nell’umano e nel moderno.

Eco e il potere dei media

Dall’introduzione del volume di Vanni Codeluppi Umberto Eco e i media (FrancoAngeli, 2021): secondo Eco, «nelle società contemporanee il rapporto di potere è diseguale, perché c’è un potere economico che ha la proprietà sia dei mezzi di produzione che di quelli di comunicazione. E ciò che avviene dunque è che «sarà sempre il potere a persuadere me, non io a persuadere il potere». Da qui discende la profonda convinzione di Eco che sia sempre necessario esercitare un’azione critica nei confronti degli strumenti di comunicazione. Come ha proposto qualche anno dopo quando ha parlato della possibilità di esercitare una vera e propria «guerriglia semiologica» da parte di chi riceve i messaggi dei media. Eco, inoltre, era convinto, già a partire da Apocalittici e integrati, che vivere in una società di tipo industriale dovesse necessariamente comportare di accettare un processo di commercializzazione della cultura, ma che, nello stesso tempo, fosse possibile tentare d’impiegare i media anche per diffondere dei linguaggi e dei valori di tipo culturale».

Tecnologie digitali

Dall’introduzione del volume di Vanni Codeluppi Mondo digitale (Laterza, 2022): le tecnologie digitali «hanno determinato dei radicali processi di cambiamento nel nostro mondo sociale e culturale. È certamente possibile parlare dunque del presentarsi anche di una “rivoluzione digitale”, come del resto hanno già fatto diversi autori. Siamo di fronte cioè a un processo particolarmente intenso di “digitalizzazione” del mondo in cui viviamo. Un processo che da qualche anno sta profondamente modificando la struttura e l’identità delle nostre società. È il caso pertanto d’interrogarsi su quali siano le principali conseguenze sociali da esso prodotte. Non è facile però arrivare a questo risultato, perché il digitale è nato di recente e il suo sviluppo è tutt’ora in corso, ma anche perché è dotato di una natura particolarmente pervasiva. Riguarda infatti sia le attività produttive delle imprese che la vita quotidiana delle persone. Questo comunque è il primario obiettivo di questo libro: mettere a fuoco le principali caratteristiche e le principali conseguenze sociali della rivoluzione digitale».

Metaverso e simulacri

Matthew Ball, nel suo voluminoso saggio Metaverso (Garzanti, 2022), ha dedicato pochissime righe alle ben note riflessioni di Jean Baudrillard sul simulacro e sulla simulazione. È evidente però che queste riflessioni sono alla base di quel concetto di Metaverso di cui oggi tanto si parla. Come ho messo in luce infatti nel volume Jean Baudrillard. La seduzione del simbolico (Feltrinelli, 2020), secondo Baudrillard, i media contemporanei hanno reso estremamente difficoltoso operare una distinzione tra la realtà e le sue forme di riproduzione. Il messaggio passa di medium in medium e così facendo s’indebolisce. Diventa più reale della realtà, più vero del vero, “iperreale” ma anche non reale. Negli ultimi decenni cioè, grazie all’enorme sviluppo delle tecnologie digitali, le rappresentazioni mediatiche hanno assunto per gli esseri umani un ruolo sempre più significativo e hanno sostituito la realtà, perché considerate più affascinanti e convincenti. Il processo di evoluzione dei media sta dunque spingendo le nostre società verso una crescente confusione tra il reale e l’immaginario, con tutte le conseguenze che ne possono derivare.